IL PRIMO GIORNO DELLA MIA VITA

Regia: Paolo Genovese

Cast: Toni Servillo, Valerio Mastandrea, Margherita Buy, Sara Serraiocco, Gabriele Cristini.

Genere: Drammatico/Commedia

Durata: 121 minuti

Cinema Garibaldi di Piazza Armerina

Dal 3 Febbraio

1° SPETTACOLO 19:00

2° SPETTACOLO 21:30

Trama:

Arianna ha perso la figlia e non se ne dà pace. Napoleone è un motivatore che riesce a spronare tutti tranne che se stesso. Emilia è un’eterna seconda confinata sulla sedia a rotelle che ha messo fine alla sua ascesa nella ginnastica artistica. E Daniele è uno youtuber riluttante sfuggito ai bulli ma non alla propria mancanza di autostima. Un uomo misterioso intercetta i quattro nel momento in cui hanno deciso di farla finita, e ora deambulano insieme a lui, né morti né vivi. L’uomo ha intenzione di fornire loro una prospettiva diversa dalla quale guardare la propria situazione durante una settimana in cui rimarranno sospesi nel tempo, senza bere né mangiare, e senza che nessuno si accorga della loro presenza. Ma non è facile far cambiare idea a chi si sentiva arrivato al capolinea della propria vita.

Con Il primo giorno della mia vitaPaolo Genovese torna alle atmosfere metafisiche di The Place, e anche qui i protagonisti viaggiano attraverso non luoghi alla Augè come il locale di quel film: alberghi abbandonati, stazioni di servizio hopperesche, e intorno una Roma fatiscente e quasi distopica, spesso inquadrata dall’alto, come dallo sguardo di un dio lontano e indifferente ai dolori dell’umanità.

Il tema del suicidio come sbocco ad una mancanza percepita di alternative è interessante, ma c’è qualcosa di terminalmente algido e asfittico nella elucubrazione tutta cerebrale di una sceneggiatura – scritta a 8 mani da Genovese, Paolo Costella, Rolando Ravello e Isabella Aguilar – così calcolata da risultare meccanica.

La materia incandescente dei sentimenti affiora soltanto nelle interpretazioni di Margherita Buy e del piccolo Gabriele Cristini, mentre Valerio Mastandrea e Sara Serraiocco si adeguano all’annichilimento dilatato attraverso immagini laconiche immerse nelle tonalità del giallo (la fotografia è di Fabrizio Lucci).

Anche i dialoghi sembrano più declamati che sentiti, più artificiosi che ispirati. Ogni emozione è tenuta a distanza sia dal copione che dalla regia, e i quattro “walking dead” attraversano davvero come zombie questa storia, senza creare la risonanza emotiva necessaria per coinvolgere lo spettatore.

Impossibile non fare un paragone mentale con altri film di tema simile, ma di impatto emotivo infinitamente maggiore, come La vita è meravigliosa o La ragazza sul ponte, che rappresentavano la scelta del suicidio come l’estrema ratio di nature profondamente romantiche e idealiste, non come un gesto di inerte disperazione. Forse la chiave di lettura più interessante come cartina di tornasole della contemporaneità è la scelta di fare del “maschio bianco privilegiato” l’elemento più fragile, quello che, pur essendo stato favorito dalla vita per cultura e tradizione, non riesce comunque a darle un senso nel presente.